Capitolo

9

L'età del Tasso e della Controriforma


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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9 - § 5

La nuova filosofia: Telesio, Bruno, Campanella


L'umanesimo e il Rinascimento maturano il principio del valore dell'individuo contro il principio di autorità; l'antiaristotelismo è uno degli aspetti della rivalutazione dell'uomo e della sua collocazione nel mondo della natura.
L'opera del cosentino Bernardino Telesio (1509-1588) consiste nel rifiuto di ogni apriorismo, nello studio della natura «secondo i suoi stessi principi», nella liberazione delle scienze empiriche dalla metafisica. Laureatosi a Padova nel 1535 riceve educazione umanistica e scrive in un latino conciso, con una breviloquenza che è il segno di una mente scientifica disposta alla precisione e al rigore.
I principali interessi di Telesio furono gli studi filosofici e matematici, le scienze matematiche, l'ottica, i problemi della ricerca fisica. Poté valutare i limiti del metodo aristotelico che era adoperato dai dotti padovani per risolvere i problemi della conoscenza naturale e poté constatare che quel metodo era ormai formalistico sicché egli, ritornato a Cosenza, oppose allo scolasticismo aristotelico le esigenze e il metodo del suo sperimentalismo. Nel 1556 pubblicò i primi due libri del De rerum natura iuxta propria principia che soltanto nel 1586 apparve completo nei suoi nove libri. Fra il 1563 e il 1587 visse a Napoli e poté far conoscere la sua dottrina negli ambienti colti. Secondo il filosofo calabrese l'ordine naturale si rivela ai sensi i quali apprendono il carattere intrinseco della natura stessa,
Fra tutti gli elementi del cosmo egli ammette tre principi, il caldo, il freddo e la materia. Caldo e freddo implicano il moto, che è essenziale. La polemica telesiana contro le fisiche tradizionali aristoteliche, contro i vacui concetti di materia e forma con cui per secoli i fenomeni della natura erano stati interpretati, è il segno rinnovatore della filosofia. Con Telesio l'Accademia cosentina, fondata da Aulo Giano Parrasio, diventa un centro di orientamento culturale depositario degli aspetti più spregiudicati del pensiero rinascimentale in seno alla civiltà controriformistica e fino all'età dell'Illuminismo. Telesiani furono Francesco Muti di Aprigliano, che visse anche a Ferrara, e il medico cosentino Agostino Doni, emigrato a Basilea, a Ginevra e in Polonia per essere stato soggetto a persecuzione religiosa, autore del De natura hominis (1581) in cui espone la propria filosofia naturale («in naturalibus agendum naturaliter»).
Anche Giordano Bruno1 (1548-1600), nolano, deriva dalla tradizione naturalistica telesiana. Domenicano, dovette condurre vita errabonda in molte città dell'Italia settentrionale, a Ginevra, a Parigi (dove scrisse la commedia Il candelaio, antipetrarchesca e antipedantesca), a Londra (qui pubblicò i dialoghi italiani Spaccio della bestia trionfante, De gli eroici furori, La cena delle ceneri e altre tre opere), in Germania, infine a Venezia. Qui il suo ospitante, Giovanni Mocenigo, temendo che le idee del Bruno avrebbero potuto comprometterlo, lo denunziò al Sant'Uffizio (1592). Il processo fu portato a Roma e il Bruno, non avendo voluto ritrattare le sue idee, fu bruciato come eretico.
Il nolano, opponendosi alla aristotelica concezione gerarchica dei cieli e dei pianeti, concepisce l'universo come una infinità senza centro e senza circonferenza, un universo animato dalla divinità che è in tutte le cose. La filosofia indaga e scopre pienamente questa realtà. Bruno non giunge allo sperimentalismo galileiano che fa crollare la metafisica ma è tra i fondatori di un nuovo sistema di conoscenza umana non dogmatica e razionale. Questo sistema, che cerca di sviluppare filosoficamente la concezione astronomica eliocentrica di Copernico, è una aspirazione alla totalità e ammette che altri mondi possano esistere nell'infinito.
Inoltre Bruno è convinto che, attraverso un eroico furore che eleva l'intelletto, il saggio acquista coscienza del divino che è in lui. E' contro le regole («vere bestie» sono coloro che le seguono perché «la poesia non nasce da le regole […], ma le regole derivano da le poesie») che imprigionano l'arte in schemi prestabiliti.
Importante per Bruno era rinnovare il pensiero; egli fu profeta di questo rinnovamento e aprì la via alla scienza del Seicento. Sia Bruno che Campanella, esuli, alimentano il pensiero francese, inglese e tedesco mentre in Italia il loro pensiero non ha svolgimento perché si muove contro il programma di riorganizzazione della cultura italiana sotto la guida della Chiesa della controriforma.
Tommaso Campanella2 (al secolo Giovan Domenico, 1568-1639) nacque a Stilo da famiglia contadina, in una Calabria spogliata dai funzionari spagnoli e dalla rifeudalizzazione aristocratica locale.
Negli ultimi decenni del Cinquecento risorge nella regione il banditismo che si era già sollevato contro il fiscalismo aragonese. Il brigantaggio è il rifugio di contadini espropriati, di pastori, artigiani disoccupati, di gente senza lavoro e senza fiducia nella giustizia; unica risorsa per le plebi che in esso cercano scampo dai soprusi dei baroni.
Marco Berardi di Mangone, ad esempio, si mette a capo di un gruppo di briganti, assume il nome di Re Marcone, crea un piccolo Stato presso Crotone e organizza una sterile sollevazione antispagnola riuscendo a sconfiggere le truppe mandate contro di lui da Fabrizio Pignatelli. Pare che egli sia stato educato dai Valdesi di S. Sisto dopo la distruzione del paese e il massacro degli abitanti.
La persecuzione contro i Valdesi rappresenta una delle più atroci pagine della controriforma. Immigrati nel Trecento in Calabria, i Valdesi dopo la Riforma di Lutero e il sinodo di Chanforan (1532) ripresero l'attività di predicazione missionaria; nel 1561 a Guardia si iniziò da parte del feudatario Scipione Spinelli la caccia all'uomo contro di essi, l'incendio delle loro case. Lo Spinelli fece entrare infine a Guardia le milizie regie e banditi «indultati et assicurati dal magistrato». Molti Valdesi furono gettati dalle torri, gli altri vennero

scorticati vivi e poi fenduti in due parti […] e a questo modo attaccati a pali piantati per tale uopo lungo la strada per la lunghezza di trentasei milia.

Campanella nasce in questo mondo di oppressione, e il problema suo è quello del male da eliminare sostituendo al potere dei baroni quello di una religione rinnovata, di una legge unica civile e religiosa, che aiuti i miseri senza istruzione e senza lavoro. Il nucleo del suo pensiero deriva dalla realtà della Calabria decaduta che dovrà avere, come tutte le altre parti del mondo, una rigenerazione in cui gli uomini vivano, senza diversità di stato sociale, guidati da una monarchia ecumenica, sacerdotale e cristiana.
Campanella contrappone alla disgregazione sociale che opprime le plebi l'organizzazione delle scienze e delle arti: propone che ci siano dei medici religiosi i quali vadano in giro come i predicatori, dei legisti religiosi che «siano advocati de' poveri e delle universitadi», si tengano nelle scuole lezioni di agricoltura («e vadano i massari ad ascoltare come e quando debban seminare, sotto che stelle e in che terre»), di nautica, di pastorizia, di arti meccaniche «e imparino da loro i poveri»; le scuole di poesia siano scuole di lode della virtù e di disprezzo dei vizi, in modo da eliminare gli «aggiratori del popolo».
Entrato a quattordici anni nell'ordine domenicano assume il nome di Tommaso e si dà agli studi filosofici e scientifici con grande ardore («camminai per tutte le sette antiche e moderne di filosofi, di medici, di matematici, di legislatori e d'altri scienziati») rivelando particolare interesse per il naturalismo telesiano.
Per questo amore sostiene la prima accusa d'eresia e la prima segregazione. Dalla Calabria si trasferisce a Napoli dove pubblica le prime opere filosofiche, che furono condannate. Accentuando il motivo della sua missione riformatrice, si reca a Roma, a Firenze, a Bologna, dove il S. Uffizio gli sequestra i manoscritti di alcune opere filosofiche e del De sensu rerum. A Padova, dove si era iscritto all'università, nel 1594 è arrestato e da lì condotto nelle carceri del S. Uffizio a Roma dove è torturato e rimane in carcere fino al 1597.
Costretto a ritornare in Calabria, matura qui l'idea di preparare una congiura antispagnola e di costituire una repubblica. Certamente Campanella, conoscendo il malcontento delle popolazioni calabresi vessate e dissanguate dal vicereame spagnolo, pensava di trovare le condizioni più favorevoli per l'attuazione dei suoi disegni; ma tradito da due congiurati fu arrestato come reo di lesa maestà e di eresia. Condotto a Napoli, rimase imprigionato per ventisette anni, fingendosi pazzo per evitare la pena di morte. Nel carcere fu sottoposto a torture:

mi fur rotte le vene e le arterie; e il cruciato dello aculeo mi lacerò le ossa […] e la terra bevve dieci libbre del mio sangue […] risanato dopo sei mesi […] in una fossa fui seppellito […] ove non è né luce né aria, ma fetore di umidità e notte e freddo perpetuo.

Nel 1626 fu condotto a Roma per volontà di Urbano VIII e, dopo essere rimasto tre anni a disposizione dell'Inquisizione, nel 1629 venne liberato; nel 1634 fu ancora accusato di una congiura antispagnola e riparò in Francia dove Luigi XIII e Richelieu lo accolsero con grandi onori e dove insegnò teologia alla Sorbona e morì nel 1639.
Nella Città del Sole (1602), tentativo di scalzare dall'interno la controriforma e i suoi terrori, Campanella proietta l'utopia di una città ideale costruita su un colle, distinta in sette gironi, il cui principio della vita sociale è la comunione assoluta dei beni e la cui religione è la legge della natura. L'educazione in tutte le arti ha inizio a tre anni, quindi i fanciulli imparano la lingua nelle mura della città e si esercitano fisicamente, «scalzi e scapigliati», fino ai sette anni. Dopo i sette anni vanno tutti «alle lezioni delle scienze naturali» e più tardi imparano i lavori della campagna e del pascolo degli animali. Discipline comuni a tutti sono l'arte militare, l'agricoltura, la pastorizia, le arti più faticose e più utili sono quelle del fabbro e del muratore. La rivalutazione delle attività manuali, considerate dal filosofo «le più nobili» e «ignobili» dagli oziosi che nessuna arte imparano, è una denunzia della vita negletta e oziosa della classe dirigente spagnola e indigena meridionale, distaccata dal popolo e dalla sua miseria.
Oltre a molte opere scritte in latino ed in volgare Campanella scrisse in carcere le Poesie filosofiche, pubblicate per la prima volta nel 1622 dal discepolo Tobia Adami in Germania.
Aspre e dense di pensiero, prive di allettamenti retorici, le poesie di Campanella sono aderenti a quel mondo contadino, primitivo e povero nel quale egli aveva creduto di dovere svolgere una missione di rinnovamento:

conobbi con ogn'un che parlavo — dichiarò nel processo contro il tentativo di congiura — che tutti erano disposti a mutazione, ed per strada ogni villano sentiva lamentarsi: per questo io più andavo credendo questo havere da essere.

Espressione del mondo contadino subalterno, Campanella non adorna i suoi versi, messaggio di verità, ed è contro coloro che cantano «finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze». Da tirannidi, sofismi, ipocrisie derivano carestie, guerre, peste, ingiustizia, lussuria, il «proprio amor» nasce da ignoranza, la maggior fortuna è il possesso interiore:
  1. né frate fan cocolle e capo raso.
  2. Re non è dunque chi ha gran regno e parte,
  3. ma chi tutto è Giesù.
Dietro i simboli spesso si nasconde l'intrigo e il poeta invoca Cristo:
  1. se torni in terra, armato vien, Signore;
  2. ch'altre croci apparecchianti i nemici,
  3. non turchi, non giudei; que' del tuo regno.
Mentre gli ipocriti e i sofisti addormentano il mondo Campanella immagina di vegliarlo e illuminarlo
  1. (Stavamo tutti al buio. Altri sopiti
  2. d'ignoranza nel sonno […]
  3. io accesi un lume)
e profetizza il giorno in cui gli uomini esalteranno il liberatore «cantando: viva, viva Campanella».
Ai bei versi di Tasso dichiara di preferire il «fuoco» di Dante, e la sua polemica letteraria è un aspetto della moralità e del desiderio di verità. Le immagini ardenti, i colori accesi e contrapposti, il pensiero prepotente hanno grande rilievo d'arte nel Campanella perché sono espressione di un genio vigoroso e multiforme che si solleva dalla solitudine di generazioni di miseri contadini anelanti alla giustizia.
Il tema messianico del rinnovamento è fondamentale in Campanella per il desiderio di preparare l'avvento di un unico regno governato da una religione naturale che avrebbe favorito la partecipazione degli uomini alla vita universale e al processo creatore della vita. La rozzezza delle rime è la scelta espressiva del Campanella per potere manifestare succosamente il suo naturalismo antiaristotelico ed è la componente più suggestiva della sua alta lirica, come nell'inno Al Sole scritto dal fondo del carcere:
  1. Tu sublimi, avvivi e chiami a festa novella
  2. ogni segreta cosa, languida, mesta e pigra […]
  3. I tassi e ghiri dal sonno destansi lungo;
  4. a' minimi vermi spirito e moto dai.
  5. Le smorte serpi al tuo raggio tornano vive:
  6. invidio misero, tutta la schera loro […]
  7. L'olive secche han da te pur tanto favore:
  8. rampolli verdi mandano spesso sopra.
  9. Vivo io, non morto, verde e non secco mi trovo,
  10. benché cadavero per te seppellito sia. […]
  11. Nullo di te conto si farà, se io spento rimango:
  12. quel tuo gran titolo meco sepolto fia.

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