Capitolo 4: La letteratura tra la società dei comuni e le signorie
Paragrafo 5: Giovanni Boccaccio. Romanzi, poemi e opere minori


Complessità, dissidi interiori, superiorità e autonomia intellettuale, disprezzo del «volgo» che sono caratteristiche del Petrarca, non sussistono in Giovanni Boccaccio1 (1313-75) nel quale, invece, la logica del mondo borghese-mercantile, l'utile, diventa elemento costituzionale. Il padre e gli zii avevano per decenni seguito il traffico europeo a Firenze, Napoli, Parigi, nelle fiere francesi come agenti della compagnia dei Bardi, alleata con i potenti Peruzzi e Acciaiuoli.
A Napoli Boccaccio come «discepolo» fece pratica di banco (ricevere clienti, tenere libri «della ragione», «dell'asse», «della cassa», «delle tratte», di «compere e vendite», di revisione e «saldamento di ragione») per sei anni acquistando esperienza, attraverso i corrieri, dei punti di vendita d'Italia e dell'Europa. Dai protagonisti imparava a conoscere il dominio del denaro, la spietatezza della convenienza economica chiusa al sentimento, le leggi ferree della ragione di mercatura, i rapporti dei mercanti con gli usurai, con i banchieri, con i politici e i regnanti, lo stato della mercatura nelle Fiandre, in Provenza, in Inghilterra, i rischi, i pericoli, le avventure di naviganti e viaggiatori.
La ricca vita interiore e la fantasia si proiettavano verso un mondo esterno il cui stampo era fornito dalle esperienze della vita commerciale, anche se il giovane non amava dedicarsi alla vita di mercante né agli studi giuridici («tanto l'animo tutto era preso dall'affetto agli studi poetici» scrive egli stesso). Agli studi letterari si avvicinò quando poté seguire la sua inclinazione frequentando i giovani dell'aristocrazia napoletana che avevano accesso alla corte di Roberto d'Angiò. Nella capitale di un regno, presso la corte cosmopolita di un dotto sovrano, fu avviato allo studio dell'antichità classica (il suo poeta preferito era Ovidio) ma soprattutto dei poemi cortesi medievali ed alle esperienze di amore passionale, in una società gaia e spregiudicata.
Per questa libertà di vita aristocratica Napoli rimase per Boccaccio un luogo di fascino e di splendore. I suoi rapporti col mondo aristocratico determinarono in lui l'ammirazione per il mondo feudale cortese e una visione gerarchica della vita che costituisce anche la sua omologia con la società borghese-mercantile la quale, decadendo, si volge verso ideali elaborati dal mondo feudale. Nel 1340 in seguito al fallimento della banca dei Bardi dovette ritornare a Firenze. I suoi concittadini negli anni seguenti gli affidarono incarichi e ambascerie. Nel 1351 lo mandarono a Padova per offrire al Petrarca una cattedra (che il Petrarca non accettò) nello Studio fiorentino; del Petrarca rimase amico affettuoso subendone l'influenza negli ultimi anni in cui si dedica a studi umanistici e alla lettura della Commedia nella chiesa di S. Stefano di Badia.
Alla letteratura dilettevole e motivata soprattutto dall'esperienza d'amore, passionalmente sentito, si ispirano le prime opere del Boccaccio. La vita sperimentata a Napoli con esuberanza di affetti si riversa nel romanzo in prosa Filocolo scritto per invito di Fiammetta, la donna che il Boccaccio amò a lungo a Napoli e che vive in diverse sue opere. La vicenda di Florio e Biancofiore (che si amano crescendo insieme e solo dopo molte vicende avventurose riescono a ritrovarsi e a sposarsi) era molto conosciuta in Occidente. Boccaccio caricò la semplice vicenda di ornamenti retorici imitando il rotondo periodo latino nonché la prosa ritmata medievale.
Fin da questa opera Boccaccio risente nello stile i modi della lussureggiante fantasia di Ovidio, da lui particolarmente amato per la profluenza maestosa. Dai tempi del cristianesimo primitivo lo scrittore ci trasporta nella Napoli del suo tempo in un episodio in cui Filocolo (Florio) assiste in un giardino alla conversazione di una brigata di giovani che disputa intorno a tredici questioni d'amore. Fra essi sono Fiammetta e Galeone nei quali sono adombrati il Boccaccio e la donna da lui amata. Pur essendo molto composita per moduli stilistici ai quali lo scrittore si richiama (Dante, stilnovo, cantari popolari, Ovidio, Stazio, Lucano) l'opera è viva per l'entusiasmo giovanile del Boccaccio, per la molteplicità dei miti e degli ideali vagheggiati.
Temi più poveri ma narrazione più organica e maggiore capacità psicologica nel delineare i personaggi abbiamo nel Filostrato, poema in ottave in cui il protagonista Troiolo, innamorato corrisposto di Criseida figlia dell'indovino Calcante, quando la donna per uno scambio di prigionieri passa nel campo greco, è tradito nell'amore. Nonostante i giuramenti di fedeltà Criseida si dà a Diomede; Troiolo si getta nella battaglia ed è ucciso da Achille. Boccaccio svolse con realismo psicologico le passioni e le finzioni di amore: il sentimento appassionato e tragico di Troiolo, l'istintività di Criseida (la quale allontanandosi da Troiolo gli aveva raccomandato di non tradirla: «ché, s'io 'l sapessi, dèi per certo avere | ch'io m'ucciderei sì come insana»), la spregiudicatezza di seduttore di Diomede, la conoscenza un po' cinica che Pandaro amico di Diomede manifesta di alcuni aspetti dell'animo femminile nel persuadere la cugina Criseida a piegarsi al desiderio dell'amico. Troiolo emerge tra i personaggi per la sua appassionata fedeltà in un mondo borghesemente attento ad amministrare i sentimenti per trarne l'utile dei sensi, il vantaggio quotidiano. Lo stilnovo è lontano: ingenuità, scaltrezza, mezzaneria, infedeltà, cinismo compongono già lo sfondo che troveremo nella commedia cinquecentesca. Qui Boccaccio nel metro un po' prosastico dei cantori popolari, in uno spessore linguistico corpulento svolge un'esperienza psicologica autobiografica anticipando il materiale del mondo comico, borghese e tragico del Decameron. La natura dell'eros è particolarizzata concretamente nei personaggi, eros non è più soltanto il nobile sentire di Troiolo ma è anche sfruttamento spregiudicato di situazioni oggettive e di debolezze dell'animo umano.
L'elemento amoroso autobiografico è prevalente anche nel Teseida che voleva essere un poema epico in ottave in dodici canti. L'epica, però, rimane sullo sfondo e legata all'imitazione di Virgilio o di Stazio con gli ornamenti e le esteriorità del genere letterario, con gli interventi delle divinità (che, invece, non esistono nel Filostrato). Ma il cuore dell'opera è l'elemento novellistico e romanzesco, l'amore di due giovani tebani, Arcita e Palemone, prigionieri di Teseo re di Atene, per Emilia regina delle Amazzoni, la loro contesa in una giostra d'armi, la vittoria di Arcita che, però, soccombendo alle ferite per opera di Venere protettrice di Palemone, induce Emilia a sposare l'amico-rivale. I personaggi hanno scarsa vita interiore per il profluvio dell'eloquenza, per la prevalenza della memoria autobiografica, ma vi sono episodi in cui il sentimento di amore si armonizza con la natura idillica e primaverile, altro tema che si incontra nella descrizione della cornice del Decameron e nelle rime del Boccaccio.
Il ritorno a Firenze fu per Boccaccio la fine della vita amorosa e cortese e il rimpianto è nel Ninfale d'Ameto o Commedia delle Ninfe fiorentine nel confronto tra l'ambiente di corte e quello domestico borghese:
  1. Quivi beltà, gentilezza e valore,
  2. leggiadri motti, essemplo di virtute,
  3. somma piacevolezza è con amore; […]
  4. la casa oscura e muta e molto trista
  5. me ritiene e riceve, mal mio grado;
  6. dove la cruda e orribile vista
  7. d'un vecchio freddo, ruvido e avaro
  8. ognora con affanno più m'attrista.
L'Ameto è un vasto romanzo pastorale in prosa e in terzine, è il racconto allegorico dell'itinerario spirituale di un rozzo pastore, Ameto (l'umanità primitiva), che innamoratosi in Val di Mugnone della ninfa Lia (l'amore che ingentilisce l'animo), assiste ai riti sacri in onore di Venere e ascolta i racconti degli amori di sette ninfe (le virtù cardinali e teologali) e alla fine può contemplare Venere, «la luce del cielo unica e trina, principio e fine di ciascuna cosa». Nell'itinerario dall'ignoranza alla verità attraverso la virtù è l'influsso della letteratura moraleggiante toscana ma anche di un episodio del Purgatorio dantesco allegorizzato in forme pagane mediante i racconti degli amori delle ninfe (tra le quali sono Fiammetta e Lia), Tuttavia i concetti religiosi e morali sono scarsamente sentiti e i racconti spregiudicati e sensuali contrastano con il fine di civiltà e di purificazione. Queste Ninfe-Grazie sono realisticamente presenti
  1. all'ombra di piacevoli arbuscelli, fra' fiori e l'erba altissima, sopra la chiara riva […] alcuna mostrando nelle basse acque i bianchi piedi […] e, alcune, data da' loro vestimenti da ogni parte all'aure via, sedeano attente a ciò che una di loro più gioconda sedendo cantava.
I motivi della bellezza femminile e della campagna resa voluttuosa da una letificante presenza divina e quello di donne novellanti in brigate sono metafore e strutture dominanti nella fantasia di Boccaccio. La prosa dell'opera abbandona i toni lirici del Filocolo, è elaborata classicamente con ogni studio retorico, diventa più realistica anche se rimane sparsa e lenta nelle sue descrizioni.
Un viaggio allegorico, realizzato ancora più fiaccamente, è l'Amorosa visione, poemetto di cinquanta brevi canti in terzine, in cui il protagonista vede in sogno dipinti in un castello i trionfi della Sapienza, della Storia, dell'Amore etc. e in un giardino incontra Fiammetta che, ispiratrice di virtù, lo induce a liberarsi dai diletti terreni per ascendere alla felicità eterna.
Quanto queste due opere sono invischiate nell'allegorismo ne è lontana, invece, con il suo realismo psicologico l'Elegia di madonna Fiammetta. In questo romanzo in prosa in nove capitoli Boccaccio riprende il motivo autobiografico del suo amore per Fiammetta ma la vita vissuta è staccata dall'incandescenza e analizzata con occhio quasi clinico. La protagonista racconta il suo dolore perché l'amato Panfilo ha dovuto lasciare Napoli per ordine del padre e non ha più fatto ritorno da Firenze. I fatti più importanti narrati sono la notizia falsa del matrimonio di Panfilo, il suo innamoramento per una fiorentina, il mancato suicidio di Fiammetta, il progetto di un viaggio a Firenze, ma i fatti sono un pretesto per ricontemplare lucidamente la passione, le ansie amorose, la speranza, la gelosia, l'attenuarsi di sentimenti dell'animo della donna.
La vita interiore è guardata in modo diretto (senza i rivestimenti di «favole greche ornate di molte bugie») attraverso i pensieri e le immaginazioni di Fiammetta che parla alle cose che erano state di Panfilo

(le mirava, e miratele, appena le lacrime ritenute, sospirando le baciava; e quasi come se intelligenti creature state fossero, le dimandava: "Quando ci fia il signor vostro?". Quindi, riposte queste, infinite sue lettere a me da lui mandate traeva fuori, e quelle quasi tutte leggendo, quasi con lui parendomi ragionare, sentiva non poco conforto),

o che sogna l'amato:

Egli mi pareva alcuna volta con lui tornato, vagare in giardini bellissimi, di frondi, di fiori e di frutti varii adorni, […] mï parea baciandolo rompergli le parole, e quasi appena vero parendomi ciò che io vedea, dicea: "Deh, è egli vero che tu sii tornato?" […] E quindi da capo il baciava. Altra volta mi pareva essere con lui sopra i marini liti in lieta festa….

Le Eroidi di Ovidio furono il modello principale di Boccaccio e qualche volta 'fanno sentire il loro peso ma nell'opera sono presenti anche scene di vita napoletana contemporanea. Nel poema in cinquecento ottave Ninfale fiesolano Boccaccio racconta l'«amorosa storia» del pastore Africo che si innamora della ninfa Mesola e, consigliato da Venere a travestirsi da donna, riesce a farla sua. Mesola che ha trasgredito le leggi di Diana si rifiuta di rivedere Africo il quale si uccide. Mesola dà alla luce un bambino Pruneo che, affidato ad Alimena e Girafone, genitori di Africo, fonderà Fiesole e farà abolire le leggi imposte da Diana alle ninfe. L'idillio mitologico oltrepassa il modello delle metamorfosi ovidiane (Africo dà il nome al torrente presso il quale si uccide, Mesola è trasformata in fiume) e dei personaggi che danno origine a elementi della natura, per il modo popolaresco con cui sono visti la campagna, la vita semplice, gli affetti. Si veda la freschezza popolare del modo in cui è descritta Mesola che fugge:
  1. La ninfa correa sì velocemente
  2. che parea che volasse, e' panni alzati
  3. s'avea di nnanzi per più prestamente
  4. poter fuggir, e aveasigli attaccati
  5. alla cintura, sì ch'apertamente
  6. di sopra a' calzerin, ch'avea calzati,
  7. mostra le gambe e 'l ginocchio vezzoso,
  8. che ognun ne diverria desideroso,
o che allatta Pruneo:
  1. e subito gli fece una gonnella,
  2. com'ella seppe il meglio, e poi lattollo,
  3. e mille volte quel giorno basciollo.
Nel Petrarca la parola gambe è interdetta per timore di realismo popolare, Boccaccio col linguaggio popolare rappresenta il carattere fanciullesco e umano della ninfa.
Tra le opere minori sono da ricordare: la Caccia di Diana, molto giovanile, scritta in diciotto canti in terzine che ha come tema l'elogio di cinquantotto dame napoletane; le Rime cariche di influenze di Dante stilnovista, del Petrarca e in alcune delle quali la lirica ha tensione religiosa e morale; il Corbaccio o Labirinto d'amore, una satira contro una vedova che si era fatta beffe del protagonista al quale il marito della donna rivela in sogno i difetti fisici e morali della moglie. La satira misogina è notevole per il linguaggio violento, iroso e «pietroso».