Capitolo

10

Società e letteratura nell'età barocca


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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10 - § 6

La storiografia


Personaggio-chiave nella cui opera si rispecchiano i motivi del fallimento della nostra storia politica e civile e della nostra cultura nei confronti del rapporto tra lo Stato e la Chiesa è il veneziano Paolo Sarpi1 (1552-1623).
Fu uomo di opposizione per motivi soprattutto politici i quali gli fecero avversare l'organizzazione, l'azione, i fini della Chiesa romana come contrari al reggimento e allo sviluppo della vita civile e religiosa. Frate servita, cooperatore di Carlo Borromeo nella riforma della diocesi ambrosiana, lasciò tracce del suo potente ingegno anche nelle discipline scientifiche scoprendo per primo la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole delle vene, fu stimato da Galilei che lo aveva conosciuto a Padova; e di fronte alla denunzia di Galilei al S. Uffizio scrisse: «Verrà il giorno che gli uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia usata a sì grande uomo». Renato Cartesio, invece, in seguito alla condanna di Galilei del 1533 scrisse che le idee galileiane non vorrebbe «per nulla al mondo sostenerle contro l'autorità della Chiesa» e che egli intendeva vivere in riposo «prendendo per divisa bene vixit qui bene latuit».
Dopo essere stato a Roma procuratore generale del suo ordine il Sarpi fu nominato canonista e teologo della repubblica di Venezia, della quale assunse la difesa con i suoi «consulti» nella contesa che questa ebbe con Paolo V per l'imprigionamento di due sacerdoti, rei di delitti comuni, dei quali il papa chiedeva la consegna perché fossero sottoposti al tribunale ecclesiastico. Essendosi la repubblica rifiutata venne colpita (17 aprile 1606) dall'interdetto, il Sarpi da scomunica che non fu mai ritirata e da tre ignote pugnalate che lo ridussero vicino a morire.
I suoi libri furono condannati al rogo. L'interdetto era conseguente anche alle leggi veneziane le quali vietavano la costruzione di nuove chiese e l'alienazione di proprietà immobiliari ad ecclesiastiche senza l'autorizzazione della repubblica la quale non intendeva tollerare la costituzione della Chiesa in corpo privilegiato.
Nettissima è la posizione in favore della separazione del potere temporale da quello spirituale da parte del Sarpi il quale definì l'atteggiamento del pontefice «non solo ingiusto e indebito, ma ancora per nullo e di nessun valore, e così invalido, irrito e fulminato illegittimamente e de facto». Nella Istoria particolare dell'interdetto (1624) Sarpi non solo respinge l'ingerenza ecclesiastica nella sfera statale ma aggiunge che, essendo fine dello Stato il benessere materiale e spirituale dei cittadini, il potere papale deve essere subordinato a quello civile al quale appartiene il controllo delle iniziative ecclesiastiche non rigorosamente di fede.
Nel Trattato delle materie beneficiarie Sarpi considera che la Chiesa allontanandosi dalla struttura democratica dell'organizzazione cristiana dei primi tempi si è venuta corrompendo, che la vita comunitaria del clero, la quale si sosteneva sul sistema elettivo, si è spezzata e che le trasformazioni dell'episcopato e del monachesimo hanno favorito l'accentramento dell'autorità nella persona del pontefice. La cultura gesuitica postridentina era responsabile della svalutazione del potere dei principi e dell'esaltazione di quello del papa.
La Chiesa «antica», com'egli la chiama, è un motivo fondamentale del Sarpi che dall'evangelismo muove per combattere il temporalismo e le intrusioni della curia nella vita dello Stato, per affermare la superiorità del Concilio sul pontefice. Al Concilio di Trento fu avverso perché la Chiesa non riuscì a riportare l'unità tra cattolici e protestanti per mezzo di riforme e con la rinunzia al potere temporale; anzi, il concilio aveva ribadito la divisione, l'assolutismo, la mondanizzazione della Chiesa ed era giunto «alla maggior deformazione che mai sia stata dopo che il nome cristiano si ode».
La Istoria del Concilio tridentino in otto libri, pubblicata a Londra (1619) sotto il nome di Pietro Soave Polano, subito tradotta e che ebbe diffusione europea, comprende il periodo che va dal 1520 al 1565 e illustra le cause e i maneggi della convocazione del Concilio, le ragioni palesi e quelle oscure dello scioglimento. Una sorta di catastrofe fu per Sarpi il Concilio in quanto non ci fu una riflessione e un'autocritica sulla corruzione della Chiesa ma in esso prevalsero i politicanti furbi e ambiziosi. Le questioni teologiche e dogmatiche rimangono un po' distaccate perché per Sarpi non rappresentano il vero motivo di divisione delle due chiese che è, invece, la organizzazione della Chiesa romana.
A laici ed ecclesiastici, che costituiscono la Chiesa militante, compete il diritto di intervenire nelle discussioni delle cose di fede; il cristiano ha il dovere di ubbidire quando il comando del papa oltrepassa il fine della pubblica autorità della Chiesa:

il nuovo nome d'obbedienza cieca — scrive il Sarpi — inventato da Ignazio Loyola fu incognito alla Chiesa e a ogni buon teologo, e leva per anche l'essenziale della virtù che è operare per certa cognizione ed elezione, espone al pericolo d'offendere Dio e non scusa l'ingannato dal principe spirituale.

Non Chiesa teocratica, quindi, egli sostiene, né società privilegiata nello Stato, ma grande società con fini spirituali e retta da un'organizzazione democratica.
L'opposizione di Sarpi incarna profondi motivi politici e per tali motivi si tende, da parte di qualche critico, a vedere nella sua opera non le ragioni effettive ma soltanto la personalità dello storico la quale fu caratterizzata certamente da sentimento religioso profondo, da intelletto potente e cultura sconfinata. Ma egli è soprattutto storico politico e mentre per Machiavelli il papato era l'ostacolo all'unità d'Italia, per Sarpi il papato alleato della Spagna è un pericolo per la libertà e per la vita interna di ogni Stato con la sua pretesa di controllare il potere di ogni principe. Non pochi motivi del Sarpi costituiscono l'incontro del frate servita con la Riforma dalla quale lo divide soprattutto, come abbiamo detto, lo scarso interesse per i problemi dogmatici su cui prevale il sogno del rinnovamento evangelico. Il Concilio perciò gli apparve come una storia di intrighi e manovre politiche mossi dalla curia.
Il Sarpi aveva scritto la sua opera consultando gli archivi veneziani ed essendo in relazione epistolare con cattolici e protestanti, avendo una rigorosa informazione attraverso i documenti. Lo stile in cui scrisse la Istoria è scientifico e freddo, dominato dalla materia trattata, lontano da qualsiasi forma di retorica o di eccitazione sentimentale. L'opera fu messa all'Indice nello stesso anno in cui fu pubblicata e la Chiesa le contrappose la Storia del Concilio di Trento in sette libri del cardinale Pietro Sforza Pallavicino (1606-1667). In questa storia apologetica dell'onnipotenza spirituale e temporale del papato, pur bene informata, le qualità dello storico sono superate dall'interesse retorico e letterario. Tra gli storici minori sono da ricordare Enrico (o Arrigo) Caterino Davila (1576-1631) di Piove di Sacco e Guido Bentivoglio (1579-1644) ferrarese.
Il primo militò in Francia sotto il duca di Montpensier, in Italia passò da parte a parte in duello lo Stigliani che lo aveva offeso in una contesa letteraria, fu ucciso in un altro litigio; scrisse la Storia delle guerre civili di Francia in quindici libri. Il secondo fu nunzio in Fiandra, cardinale, scrisse Relazioni in tempo delle sue nunziature (1629), le Memorie (1648) e Della guerra di Fiandra in ventiquattro libri in cui narra la sollevazione fiamminga contro il dominio spagnolo.

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