Capitolo 21: Dalla Resistenza ai nostri giorni
Paragrafo 1: Caratteri dell'età: cultura gramsciana e cultura del neocapitalismo


Le sconfitte militari e l'azione della Resistenza — che ha radici nel ventennio — determinarono la caduta di Mussolini (25 luglio 1943), del fascismo, la disgregazione degli elementi della sua base di massa diventata sempre più ridotta dalla Repubblica di Salò (23 settembre 1943) in poi, a causa della lotta e delle insurrezioni partigiane.
La Resistenza come movimento di popolo era un fatto nuovo nella storia d'Italia, l'esperienza democratica durante la lotta apriva la via a un mutamento di rapporti e di istituzioni che conducevano alla Repubblica (2 giugno 1946) e alla presenza di organizzazioni di massa (partiti e sindacati), a governi interpartitici, alla Costituzione repubblicana (1° gennaio 1948). Fu un momento di grande partecipazione dal basso alla vita nazionale e fu immediatamente seguito dal riorganizzarsi della borghesia intorno a interessi che cominciavano ad essere capitalisticamente internazionali e intercontinentali sicché le vecchie forze moderate, distese in una vecchia cultura ma pragmaticamente dentate, sfruttarono l'egemonia economico-sociale per trasformare i rapporti tra i grandi settori dell'economia.
La vittoria cattolico-moderata (1948) prepara l'inserimento dell'Italia nel mercato mondiale con lo sfruttamento della forza-lavoro di masse meridionali disoccupate ed economicamente sottosviluppate, rompe la società contadina, la indirizza alla produzione industriale e al consumo dei beni di massa che portano al boom economico delle forze industriali (1958-62), alla terziarizzazione, a un maggiore dislivello tra Nord e Sud. La spinta dal basso e le lotte operaie riprendono dal 1962 e hanno la prevalenza, unite a quelle studentesche (1968-69) sul piano sociale, nella campagna per il divorzio (1974) ma non hanno conseguenze sugli assetti dei governi.
Il trentennio dalla fine della guerra — che ha visto il trionfo della rivoluzione in Cina, dell'anticolonialismo, le lotte studentesche, la vittoria dei vietnamiti ma anche le vittorie di colonnelli e generali in Grecia e in Cile — con gli innumerevoli intrecci di conseguenze in tutti i campi, ha trasformato completamente la società italiana: ceti contadini e artigiani perdevano la loro identità, migrazioni interne e all'estero di milioni di lavoratori modificavano abitudini e comportamenti, i mezzi di comunicazione di massa guidavano consumi, gusti, mode, cultura, linguaggi in funzione del controllo della società di massa che nei suoi diversissimi gruppi accoglieva i termini comuni e medi, già elaborati e preparati, di ciò che doveva essere conosciuto e usato.
Per gli usi medi generalizzati si contaminano arti diverse, generi letterari, le tradizioni e i contenuti si rimpastano secondo le destinazioni a cui li designa il neocapitalismo nazionale o delle multinazionali. È difficile sottrarsi ai bombardamenti delle persuasioni scatenate da un sistema che assorbe le contestazioni ma è anche un divergere dalla resistenza, un crearsi alibi il mitizzare il Potere in una nazione, l'Italia, che ha potentissimi strumenti di lotta, di organizzazione, di opposizione.
Il grande mutamento verificatosi anche nella cultura ha modificato gli intellettuali, i loro strumenti di ricerca, l'ambito e il metodo di ricerca. La metodologia dello specialismo separato dal resto della cultura ha ceduto il campo all'interdisciplinarietà, allo studio dei problemi servendosi di diverse discipline per potere ricostituire quell'unità della cultura che la divisione della società in classi ha contribuito a spezzettare. Una metodologia interdisciplinare implica una scelta storiografica, una visione unitaria del cammino della società per cui, anziché seguire in tanti filoni, al più paralleli, le sue diverse espressioni, si cerca il punto focale che permetta di coglierle nel loro significato e nelle loro reciproche relazioni.
Non a caso il discorso sull'interdisciplinarità è venuto avanti anche nella scuola in rapporto a due esigenze oggi vivamente sentite: il rinnovamento in senso operativo (sperimentazione) e critico dei tradizionali metodi di insegnamento e quella dell'importanza della contemporaneità. Abbiamo ricordato la scuola perché, diventata scuola di massa, essa è campo di ricerca didattica e culturale attraverso la pratica del lavoro di gruppi, lo scambio attivo di informazioni complementari capaci di organizzarsi in una struttura unitaria.
Dopo il '68 l'interdisciplinarità è stata usata spesso come criterio di interpretazione del divenire della civiltà e pedagogia, linguistica, antropologia culturale, psicanalisi, sociologia, marxismo sono stati gli elementi della nuova cultura, non rivolta a creare codici non comunicanti (le specializzazioni separate) né le gerarchie dei valori e delle discipline ma l'uso della cultura come strumento di conoscenza e di unità. Il metodo interdisciplinare è assai difficile e richiede conoscenze tecniche precise perché non si cada nella faciloneria, nella negazione della cultura tradizionale, nelle vaghezze idealistiche.
Molte mode culturali hanno attraversato la cultura italiana nel dopoguerra ma non poche hanno avuto matrice borghese perché le componenti borghesi moderate (ma tecnologicamente ammodernate e pericolose come non mai) hanno continuato a sovrapporre alla realtà e alla cultura le ideologie dell'immobilismo, dell'eternità. La visione del mondo costituito da strutture archetipe che oltrepassano la volontà dell'uomo crea un platonismo, un idealismo che non ha rapporto col reale, che destoricizza il concreto. Lo strutturalismo è, perciò, una ideologia e può contaminare proprio le discipline più modernamente utili all'interdisciplinarietà perché esso non è dialettico ma ontologico. In questi ultimi anni, purtroppo, questi pericoli si sono verificati dando luogo a: confusione della cultura letteraria con i metodi banalizzati delle scienze (schemi aritmetici preelementari che fanno l'abbaco di costanti, crescite, regressioni senza finalità alcuna); nozioncelle psicanalitiche, linguistiche che spiegano superficialmente ogni problema prescindendo dalla realtà e dalla storia. Questi pasticci ideologici sono elementi dell'uso della cultura da parte della borghesia (cattolica e laica) tendente all'evasione dai problemi.
La pubblicazione delle opere di Gramsci ha creato una nuova nervatura al marxismo italiano che è diventato alternativo alla cultura borghese. I motivi gramsciani dell'egemonia culturale, della cultura nazional-popolare, del rapporto tra società e cultura hanno alimentato il dibattito del dopoguerra insieme con la polemica di Gramsci contro le mistificazioni e le ideologie, gli oggetti fittizi, le apparenze illusorie, le idee false dei letterati, gli interessi camuffati da un sigillo nobilitante.
Questa polemica colpiva l'ideologia della letteratura pura, privata, consolatoria, separata, l'umanesimo formalistico, la retorica nazionalistica, barocchismi e arcadie dei verseggiatori inutili, l'ottica di classe e il reazionarismo degli intellettuali che si sentono più vicini ad Annibal Caro che al bracciante del loro o di altro paese etc. Gramsci è il cuore della vita politica e morale degli intellettuali della fine degli anni Quaranta quando il moderatismo diventa asfissia e si combattono nell'Italia meridionale grandi lotte contadine legate al rinnovamento sociale e politico d'Italia.
L'altro grande motivo ideale è la Resistenza come lotta di popolo in armi dal 1943-45: da questa precisa definizione (che evita l'insistenza su spontaneità, religiosità, omnicomprensività dell'avvenimento) bisogna muovere per individuare le poche opere di narrativa e letteratura nate nella Resistenza (ma canti popolari, dialettali, musica hanno una precisa fisionomia). Le opere nate intorno alla Resistenza, invece, sono numerose ma si collocano nell'evoluzione degli scrittori che le hanno prodotte.