Capitolo 16: Il classicismo illuministico e Giacomo Leopardi
Paragrafo 7: Carlo Cattaneo. Graziadio Isaia Ascoli


Il sensismo di Condillac è alla base delle dottrine economiche e pedagogiche di Melchiorre Gioia (1767-1829) di Piacenza e di quelle giuridiche e sociali di Giandomenico Romagnosi (1761-1835) di Salsomaggiore. Quest'ultimo fu professore di legislazione durante il Regno italico, collaborò al «Conciliatore», nel 1821 fu incarcerato come sospetto di carboneria. Tra le sue opere ricordiamo Della Costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa (1815), I fattori dell'incivilimento, Saggio filosofico-politico sull'istruzione pubblica legale, la prolusione Del dominio della natura sul regime degli Stati in cui lo Stato è visto in funzione della «somma maggiore delle particolari felicità». Romagnosi fu un maestro della nuova cultura penale, amministrativa, economica e dei nuovi studiosi da Giuseppe Ferrari a Cattaneo.
Nettamente classico-illuministiche sono le radici culturali del milanese Carlo Cattaneo1 (1801-69) che traggono alimento dall'economia, dalle scienze della natura, dalla sociologia.
Da questo nucleo di idee derivano l'abito scientifico e l'amore per il dato concreto, l'avversione alla metafisica, alle astrazioni, al romanticismo spiritualistico; nell'ordine sociale il principio illuministico del progresso guidato dalla borghesia lo stacca sia dal romanticismo moderato che dai socialisti: nell'ordine politico fu repubblicano federalista (secondo il modello svizzero), lontano da cospirazioni e congiure perché vedeva la rivoluzione nazionale legata alla realtà sociale. Nel marzo del 1848 fu chiamato a guidare l'insurrezione delle cinque giornate di Milano per la sua mente organica e positiva, per il suo legame con i problemi della società e della cultura lombarde e nonostante egli ritenesse che un «insurgimento di popolo non fosse la prima cosa a cui pensare» e non credesse nel liberalismo di Carlo Alberto. Tutta la sua cultura, fondata sulla scienza, la ricerca storica, l'utilità sociale, muove dalle «cose» dell'illuminismo, dal «Caffè», è antiformalistica, tecnico-scientifica. Dal «Caffè» arriva il «Politecnico» (1839-44; 60-63) da lui fondato a Milano per indirizzare al «vero scientifico» e liberare i «molti» dagli errori e superstizioni «nell'agricoltura, nell'economia pubblica, nella religione, nella vita di ogni giorno». Su questa base razionalistica Cattaneo credeva nel progresso civile e sociale, dell'economia, dell'agricoltura, dell'industria, guidato dalla borghesia nemica delle tenebre, fervida di intraprese, creatrice di «una congerie formidabile di forze materiali e morali»; «La possidenza […] abbandona le odiose castella, e si trattiene nelle città, ove ingentilisce l'animo colle arti, colli studi, col socievole consorzio; e ne riporta utili opinioni fra le campagne, ove i suoi padri vivevano opprimendo e spaventando». Studioso acuto e informatissimo (Della carità legale, 1836) delle condizioni di vita delle classi subalterne in Europa e della loro continua pauperizzazione, lottando osserva la diminuzione delle mercedi per la concorrenza di forze sul mercato del lavoro e la «diminuzione di valore dei salari dovuta all'aumento della ricchezza generale» (Derla) e spiega «i più dolorosi disastri e le iniquità più odiose» con la legge del progresso borghese. Nel quadro dell'incivilimento progressivo lo Stato federale — governo di ragione e di scienza, di conciliazione economica, morale e diritto — si pone all'antitesi dello Stato centralizzato e burocratico, assoluto: storicamente Cattaneo fu critico radicale della monarchia piemontese e di quella italiana unitaria borghese. Cattaneo considerò l'opera della borghesia liberale in modo positivo, come promovitrice di progresso per la società intera e la sua modernità lo indusse, durante la Restaurazione, al recupero degli studi scientifici e tecnici, a contrapporsi alle correnti moderate del Risorgimento. Tuttavia le contraddizioni osservate del sistema borghese non sollecitarono in Cattaneo che correzioni, non alternative: questo è limite di una organicità non rivoluzionaria. Gli interessi nazionali per la letteratura portarono Cattaneo a essere favorevole ai primi romantici milanesi (nei cui programmi vide sia una continuazione di motivi illuministici sia la morte di un classicismo inutile) e decisamente avverso al romanticismo successivo. Illuminismo e classicismo furono per Cattaneo i nuclei culturali della sua posizione contro il romanticismo cattolicizzante. Tra gli interessi culturali vari ricordiamo quelli linguistici «come espressione della nazionalità e come testimonianza delle vicende della storia dei popoli» (Timpanaro).
Nel problema della formazione delle lingue Cattaneo sostenne che le lingue vive d'Europa non derivano da una lingua comune che si sia venuta suddividendo ma che esse sono lingue diverse che si vennero avvicinando e assimilando ad una sola in relazione all'associarsi e al fondersi delle tribù primitive. Nessuna lingua né alcun popolo erano privilegiati e Cattaneo si opponeva così sul piano razziale sia alle tesi romantico-reazionarie di F. Schlegel del primato teutonico che a quella del primato della razza mediterranea: i tentoni ultimi arrivati nel cammino della civiltà erano la dimostrazione scientifica che nessuna razza era destinata alla soccombenza e alla schiavitù, che colonialismo e schiavitù non erano giustificabili, che tutte le nazioni creatrici di eroi della ragione e dell'umanità e sono venerabili per noi; ma tutte le altre per noi sono egualmente e non riconosciamo egemonie del genere umano». Anche in questo problema in cui rivela la massima democrazia Cattaneo é schierato contro i romantici europei e le loro tesi.
A quelle di Cattaneo si collegano le idee etnico-linguistiche di Graziadio Isaia Ascoli2 (1829-1907) israelita di Gorizia, professore di linguistica, per oltre quarant'anni, all'Accademia scientifico-letteraria di Milano e direttore dell'Archivio glottologico italiano fondato nel 1873. L'Ascoli è uno dei maggiori maestri di tutta la storia della nostra cultura («bastione alpino […] duro come il macigno, senza retorica e senza poesia» lo definisce un altro autentico maestro di letteratura, (Carlo Dionisotti) e nel suo insegnamento mirò, scrisse egli stesso, a «preparare gli allievi all'insegnamento istorico del latino, del greco e dell'italiano». Nel problema della lingua fu nettamente avverso al fiorentinismo di Manzoni perché per Ascoli lingua è cultura, abitudine al rigore del ragionamento scientifico e la proposta di Manzoni conteneva il pericolo del formalismo ed era stata ormai oltrepassata dal superamento che la lingua aveva fatto dei dialetti. Dissensi scientifici non mancarono tra Ascoli e Cattaneo ma dal 1867 in poi Ascoli si venne avvicinando al milanese (nella commemorazione che Ascoli fece nel 1869 vede Cattaneo come colui che «rinnovando e ravvivando, tra noi, ogni disciplina economica, letteraria, istorica, fisica, speculativa e industriale, in sé raccolse tanta somma di civile efficacia, che, giunta l'ora della riscossa politica, li parve a tutti il natural moderatore del paese risorto»). Ascoli si rivolge, dopo il 1870, agli studi di dialettologia italiana per

l'esigenza di unire ancor più intimamente la disciplina da lui professata alla vita culturale della nazione, di creare una scuola, saldamente organizzata sul modello tedesco, la quale esplorasse in modo sistematico la varia e complessa fisionomia linguistico-etnografica dell'Italia e ne illustrasse la formazione storica

(Timpanaro).
Lo studio dei dialetti serviva all'Ascoli per chiarire il problema della lingua del quale parlò nel Proemio («uno dei capolavori in senso assoluto della letteratura italiana: della letteratura dico, — così ancora il Dionisotti — e non prudentemente della critica o pubblicistica o trattatistica o simili malinconie») all'Archivio glottologico; Ascoli è contro il fiorentinismo di Manzoni e si collega alla tradizione classicista-illuminista di Monti-Perticari della Proposta e di Cattaneo: la lingua doveva riflettere la cultura nazionale moderna a tutti i livelli escludendo la «tersità» del «popolanesimo» dell'«ajuola fiorentina». Ormai Firenze indicava angustia, la lingua vi era nata ma l'unità linguistica nazionale doveva derivare da una diffusione culturale policentrica. Per Ascoli, infine, la linguistica era una scienza naturale, vicina all'antropologia e all'etnografia in quanto collegata con la nazione entità collettiva. In tale naturalismo si riconosce l'influenza (antidealistica, antimetafisica) che sul goriziano esercitò Carlo Cattaneo.