Capitolo 16: Il classicismo illuministico e Giacomo Leopardi
Paragrafo 3: Le idee, il sensismo, il materialismo


I «canti» sono strettamente legati alla vita mentale impavida e sofferta di Leopardi, non sono soltanto pura espressione lirica (anche se in taluni di essi ci sono momenti di più fiducioso abbandono alle illusioni e alla contemplazione) la quale, del resto, negli ultimi anni, i più coraggiosi e virili, diventa aperta espressione antilirica. I «canti», cioè, non sono un messaggio letterario ma umano e storico e la lettura di Leopardi non può ridursi a una corsa nella «lirica» espressione di un'«anima».
Leopardi è il fondamentale incrocio moderno di una cultura che non si isola nella letterarietà (ma altissima fu la sua letteratura) e, invece, prende coscienza, in un drammatico confronto col mondo antico, con la vita reale e con l'oggettiva condizione dell'uomo nella sua lotta con la natura. Il cammino di Leopardi non è un cammino astrale o romantico, esistenzial-spiritualistico ma ha come punto di approdo il materialismo, la materia eterna, immortale, in divenire, creatrice degli esseri in continua modificazione:

niun segno di caducità né di mortalità si scuopre nella materia universalmente, e però niun segno che ella sia cominciata né che ad essere le bisognasse o pur le bisogni alcuna causa o forza fuori di sé.

Il pensiero leopardiano, cioè, è la continua, dialettica elaborazione dei nuclei essenziali dell'illuminismo che pensatori e letterati italiani avevano trattati con impegno umanistico-borghese ma non in modo totale né radicale, e che non erano stati organicamente ripresi per i mutamenti politici, sociali, culturali dell'età delle rivoluzioni.
Leopardi nel suo impavido cammino riprende, in modo originale e con tutte le contraddizioni e gli impulsi della sua vicenda personale di recluso-emarginato prima, di disperato coraggioso dopo, quei problemi in età di fine delle illusioni rivoluzionarie, di restaurazione di vecchi principi; fa concrescere in essi il suo pensiero giungendo a demistificare conforti e illusioni e — da questa amara constatazione — a indicare l'opposizione, nella fraternità e solidarietà degli uomini, al cieco divenire della natura e alla tragica condizione esistenziale. Nel suo cammino Leopardi non cede a illusioni, a irrazionalità religiose, a spiritualismi romantici. Anzi, quale appiglio culturale di resistenza, quale bandiera di lotta non vede che l'ala illuministica del classicismo nel tempo in cui Restaurazione e romanticismo creavano cedevoli modi di abbandono del pensiero, nuove forme di schiavitù per gli uomini sotto apparenza di paradisi artificiali offerti dall'immaginazione fantasticatrice.
Leopardi non vive il trionfo ma la crisi dell'illuminismo e, nei suoi primi anni, vive nello schieramento coatto gesuitico-monaldesco dell'illuminismo reazionario. Fu certamente grande l'influenza esercitata su Leopardi da Giordani illuminista, sensista, riformatore culturale, purista progressista, anticlericale, antimetafisico, avverso alla filosofia tedesca, ma in Leopardi ciascun momento filologico, letterario, filosofico ha elementi caratteristici di conoscenza obiettiva. Nel classicismo illuminista Leopardi trova un punto di grande rilievo nel sensismo per il quale scopo di ogni attività umana è il piacere; ma la fugacità del piacere è motivo di infelicità e il dolore fisico è elemento di oppressione esercitata sull'uomo del quale la malattia fa conoscere al giovane la debolezza biologica.
La «dolorosa ma vera» filosofia dell'illuminismo — il cui reticolo formale razionalistico Monaldo avrebbe voluto preservare, per il figlio, dall'irreligiosità — preservava adesso Leopardi dallo spiritualismo, dal medioevo cristiano dei romantici, lo allontanava dalla «barbarie» medievale e lo collegava con l'antichità classica, con i miti di un mondo primigenio eroico, con i momenti storici della democrazia e del repubblicanesimo di Atene e Roma. Questa matrice, fatta propria dal classicismo illuministico dell'Ottocento, era la patria storica e culturale dell'uomo libero in armonia con la natura, delle scelte eroiche contro la sopraffazione e la tirannide. Essa costituiva il modello dell'agonismo contro la mediocrità, lo stampo in cui il classicismo leopardiano accoglieva l'alfierismo lasciando da parte il classicismo tradizionale formalistico e il purismo amante del primitivo semplice.
Leopardi poeta degli anni giovanili passa alternativamente dalla tensione di questo classicismo al nitore degli idillii, ma il Leopardi negli ultimi anni riprende il titanismo alfieriano per opporsi al mondo «schiavo di morte» e di paure, alla natura e alla necessità che tutto travolge. Eroismo individuale e purezza psicologica primitiva si equivalgono quando la natura appare benefica e consenziente a una società libera, antiascetica, non inaridita dal razionalismo predominante e quando il pessimismo al quale Leopardi è giunto riguarda il destino personale (dal 1819 in poi). Leopardi può illudersi ancora sulla propria sorte o sulle età felici del passato ma quando il rapporto uomo-natura gli fa scoprire che la natura è impassibile osservatrice di distruzione e di infelicità, e lo studio del passato gli fa vedere (1823) che l'infelicità è stata anche negli uomini antichi, Leopardi cancella ogni elemento di benefico finalismo dalla vita e dalla storia.
Il passaggio al pessimismo o titanismo radicale (o cosmico) — l'infelicità come stato permanente della vita — non è un fenomeno intellettuale ma deriva da fallimenti, delusioni e, soprattutto, dalla personale esperienza dell'oppressione della natura sull'uomo in quanto essere biologicamente fragile ed effimero: indifferente o nemica la natura e tutti gli uomini da compiangere, accomunati nelle sventure, nella vecchiaia, nella morte, inconsapevoli della realtà o autoaccusantisi del male o alla ricerca di consolazioni. Imperitura la materia inorganica ha in sé «una e più forze sue proprie, che l'agitano e muovono in diversissime guise continuamente», inconoscibili nell'essenza e nel meccanismo: la materia senziente (uno dei modi di essere della materia) è caduca e passeggera in quanto forma dell'essere, soggetta alle leggi (così il cervello dell'uomo) della materia inorganica, a essere modificata, negli individui, «in variatissime guise», distrutta e ricreata fino alla distruzione assoluta di generi e specie come in altri mondi «venuti meno» e perduti «nello spazio infinito della eternità»;

né perciò la materia è venuta meno in qual si sia particella, ma solo sono mancati que' suoi tali modi di essere, succedendo immantinente a ciascuno di lor un altro modo, cioè un altro mondo, di mano in mano.

La materia senziente, l'uomo, ha in sé una passione fondamentale, «l'amor di se stesso» che opera diversamente nelle diverse passioni, come le forze della materia:

la natura dell'egoismo è un ghiacciaio dell'animo; un freddo, un congelamento […] una povertà, una scarsezza di vita; una inattività effettiva, o un'inclinazione alla medesima; […] gl'individui di quella che si chiama società, sono ciascuno in guerra più o meno aperta con ciascun altro, e con tutti insieme; il più forte sotto qualunque riguardo, la vince; […] Tutto quello che si cede è perduto, posto il sistema dell'egoismo universale.

Durante il soggiorno romano (1823) Leopardi conobbe il pessimismo della Grecia classica ed eroica (prima non aveva conosciuto direttamente Teognide né Pindaro né Sofocle né Euripide) e le nuove letture

non furono certo la causa del passaggio del Leopardi dal pessimismo storico al pessimismo cosmico […] e tuttavia esse hanno — cosa finora, credo, non osservata — un posto non trascurabile in questa evoluzione del pensiero leopardiano

(Timpanaro). Il pessimismo materialistico dissolve ogni teocentrismo e antropocentrismo ed è anche il rifiuto di ogni sbocco religioso.