Capitolo 15: Il Romanticismo e Alessandro Manzoni
Paragrafo 8: Novità, ideologia, limiti dei «Promessi sposi»


Grande novità artistica è nella nostra letteratura il romanzo storico, un genere letterario che per Manzoni ha come oggetto la realtà storica, come mezzo di interesse i motivi creati dalla fantasia e come fine l'utile, cioè i fini della religione.
Nel 1821 Manzoni, avendo letto la storia milanese di Ripamonti e avendo l'occhio alle narrazioni di Walter Scott miste di storia e d'invenzione, concepì un romanzo che aveva come sfondo storico la Lombardia degli anni 1628-30 dominata dagli Spagnoli e come vicenda d'interesse fantastico quella di due popolani il cui matrimonio era contrastato dai prepotenti. Nel 1823 il romanzo era già scritto, col titolo Fermo e Lucia. Riveduto anche nella struttura (eliminate digressioni, la lunga storia di Gertrude ed Egidio, modificato il personaggio del conte del Sagrato, fatti cadere gli elementi di gusto popolare romantico) il romanzo fu pubblicato col titolo I promessi sposi (1827) e fu riveduto, linguisticamente e stilisticamente, fino al 1842.
Il primo merito dell'opera è nella fede artistica di Manzoni di creare una forma narrativa moderna che rompesse la prosa aulica e proporzionasse l'espressione alla natura dell'opera stessa. Inoltre nel romanzo lo scrittore riusciva a fondere i piani dello stile (familiare, lirico, ironico, morale, storico etc.) con eccezionale varietà, a creare i personaggi moderni, a sottomettere alla ragione l'autobiografismo, ad esprimere una religiosità non medievale né gesuitica, a esercitare l'ironia illuministica contro l'irrazionalità del Seicento, a riformare in senso moderno la lingua, a creare una prosa colloquiale molto più comunicativa e sociale di quella degli scrittori della scuola democratica.
Il pessimismo è nella religione di Manzoni e il romanzo si svolge quale attestazione della fede religiosa che aiuta a comprendere il mondo con gli intrighi, le contraddizioni, gli «imbrogli» che sono messi sotto luce. Anzi i «casi» della vita sono «imbrogli» sostenuti e resi più intricati dall'agire mondano, antitetico allo spirito evangelico: passioni, ambizioni sono le qualità della radice mondana, cruda per se stessa e che può avere valore solo se purificata dalle tenebre e dalla carne in una società rievangelizzata.
Non è il mondo ad avere valore come realtà positiva ma il vero valore è trascendente: non c'è storia degli uomini, la sola storia è Cristo. Cultura laica umanistica e rinascimentale, ragione illuministica, modificazioni sociali ottenute attraverso la Rivoluzione francese sono ripudiati come errori dall'ideologia religiosa di Manzoni rispecchiata nel romanzo. Il trionfo della religione, enunciatrice di giustizia antifeudale e riparatrice ideale di tutte le ingiustizie umane, è un trionfo politico perché da esso ha origine la grande mediazione capace di ordinare la vita terrena.
Nella città degli nomini la ragione politica è trascesa dalla verità di fede (del resto la salvezza del singolo dipende soltanto dalla Grazia imperscrutabile): l'organismo ecclesiastico della chiesa trionfante è la guida, il principe, la morale religiosa che rigetta l'autonomia politica di Machiavelli. Questi si era mosso dalla virtù e mediocrità della natura dell'uomo per affermare il valore del principe ordinatore, Manzoni muove — con profonda analisi degli errori, delle sopraffazioni, dei falsi eroismi, dei superomismi — dall'imperfezione antropologica generale per eliminare la capacità di superiorità razionale di un principe e per sottolineare, anzi, la prevaricazione dei dominatori sui soggetti, la neutralità dello Stato amministratore di giustizia e di economia. L'impossibilità di modificare le disuguaglianze economiche, lo «stato» delle persone umane, la divisione fra ricchi e poveri, genera una realtà immutabile.
Questo fatalismo manzoniano persuade i subalterni, gli umili alla rassegnazione ed è poco umile nella sua sostanza perché nella sua dolorosità compunta colpisce i deboli facendoli permanere nella loro condizione. È il paternalismo che salva i dominatori e chiude nel ghetto gli sfruttati; Manzoni abolisce la possibilità di consapevolezza politica negli uomini pur sapendo che i rapporti sociali sono stati sempre scanditi dalla forza e dalla lotta. Trasferite nel trascendente imperscrutabile le cause della disuguaglianza degli uomini, le cause storiche, sono vanificate; la diseguaglianza diventa ineliminabile e gli «umili» sono indotti ad accettare la sorte decretata e l'ideologia del perdono che smorza la lotta, la ribellione.
L'ideologia manzoniana della rassegnazione è obiettivo sostegno del dominio; dalla rassegnazione a cui persuade la pedagogia cattolica e moderata della Restaurazione nascono nei persuasi, in tutte le regioni d'Italia, taluni documenti folklorici letterari invitanti a contentarsi del proprio stato: «Chi no pazienta se tormenta; Poch ma in pas; Cor tranquil dorma be a su fenil; Chi è content è sior; Soporta el mal e sprecia el ben (Lombardia); El poco basta, el tropo guasta; è rico chi se contenta del poco (Veneto); Megghiu pani nigru ca farri nigra (Calabria); Cui cerca megghiu, peju trova; Megghiu cuntentàrisi chi lamentàrisi; Trivulu pri trivulu, / mi tegnu a me' maritu ch'è diavulu (Sicilia:)».
Per maggiore consapevolezza, per altra ideologia sono nate altre espressioni popolari che protestano contro il quietismo e il fatalismo: «Contra i canù no val la resù; Cont i vilan la polizia la var pocch (Lombardia); È meglio puzzare di porco che di povero; Un ricco solo impoverisce molti; Chi orina contro il vento si bagna la camicia (Toscana); A chi nun ci ha, gnissuno je ne dà; Robba fa robba (Lazio), Cu ha è, cu non ha non è; L'aviri ti fa sapiri, la povertà ti fa 'nciotiri; All'oro no lu poti la ruggia; Como ti vidinu ti trattano (Calabria)».
Svalutati lo Stato, la politica, l'uomo nello Stato, lo storicismo dei Manzoni — l'antifeudalesimo, la polemica antiassolutistica — non ha spazio né luogo come fede umana perché politica e storia sono ombre del grande disegno del Verbo che illumina solo la Chiesa, del «Creator Spiritus» sola verità e sola legge.
L'umanesimo laico, privo dell'universalità religiosa, condensa per Manzoni nelle manifestazioni politiche gli impulsi di sopraffazione reciproca degli uomini. Mistificazione di razionalità la politica è sbocco di interessi materiali e ambizioni personali, di autoritarismi e rivalità. In ogni caso le disuguaglianze di nascita e fortuna rimangono e generano violenza.
Le leggi e i tribunali hanno valore formale perché non possono modificare le situazioni di diseguaglianza e sono sostanzialmente ingiusti perché adottano il criterio dell'eguaglianza formale per giudicare le infinite diversità che, invece, devono essere demandate al tribunale morale, alla coscienza (le sole istanze che possono tenere conto delle circostanze che hanno generato i fatti), valutarne le motivazioni anche in relazione allo stato sociale di dominatori e dominati. Il giudizio etico non può non pronunciarsi in favore degli umili ma sul piano pratico e sociale non può intervenire per fornire un diverso assetto mondano.
Cultura e scienza mondane sono per il romanziere mistificazioni nominalistiche, facciate dietro le quali non esiste un criterio sicuro per giudicare, per migliorare gli uomini. Soltanto nella fede cristiana e nella carità si risanano disuguaglianze ed errori, avviene la liberazione dal male mondano e pagano, cresce una umanità rinnovata. Non il Settecento illuminista e rivoluzionario ma l'interiorità degli uomini disposti al sacrificio verso gli altri è per Manzoni il termine di confronto del merito per gli uomini, giudicabili soltanto da colui che li ha creati e che vede anche i più lievi moti dell'animo caritativo.
Il narratore, scettico sulla natura dell'uomo, ha la grande capacità di perlustrare la complessità interna dei suoi personaggi demistificando i sofismi e le ipocrisie, la falsa persona che gli uomini si creano. La mistificazione, però, attuata dal trionfo della natura brutale e materiale sulla ragione, non può essere schiarita dalla ragione senza l'aiuto della fede. L'istinto di conservazione dell'io è la passione fondamentale. L'eros in quanto comunicazione umana ed elemento di comunione affettiva non è discusso da Manzoni perché nulla di positivo sia concesso all'umano, al mondano, all'immanente. Lo scrittore si autocensura per non venir meno al fine edificante che assorbe tutti gli altri fini; in tal modo Manzoni si preclude la possibilità di rappresentare lo svolgimento dei sentimenti, isolandosi dalla letteratura europea che con l'esplorazione dell'eros ha allargato i modi di conoscere la realtà.
L'ideologia di Manzoni è timorosa e difensiva, lo scrittore avverte ancora il timore della Riforma e della Rivoluzione francese, del libero pensiero e della ragione. Lo scrittore nella sua cautelosità si arrocca in un cristianesimo ritardato e conservativo, pur rappresentando il più alto livello di organizzazione sistematica della cultura cattolica dopo la Restaurazione.
Il romanzo, d'altronde, pur con i suoi limiti ideologici, pur con la repressione erotica, ha una forza di rottura per la richiesta di rinnovamento degli istituti economici e amministrativi e per l'affermazione di libertà di coscienza agli albori del Risorgimento. Esso costituisce un punto di riferimento di libertà per la polemica antiparticolaristica che contiene e nella quale la borghesia nazionale poteva trovare una indicazione. In un'Italia divisa, composta in massima parte da ceti rurali egemonizzati dalla Chiesa cattolica, l'ipotesi di un rinnovamento della società mondana proveniente dalla Chiesa rappresentò un orientamento sociale e nazionale per le punte più avanzate di quella borghesia.
Manzoni infatti rifiutava l'esperienza classicistica in quanto finzione e ricercava il contatto con una realtà anche artistica più moderna in nome del vero, si rivolgeva con un nuovo genere letterario a un pubblico più vasto, la sua religiosità era più moderna e drammatica di quella espressa dall'inerte dogmatismo tradizionale. Rifiutava inoltre il potere temporale della Chiesa per rendere autentico il trionfo della religione, e nell'atteggiamento delle proprie convinzioni incardinava la polemica per la verità cristiana con quella contro lo scadimento dei valori morali nel mondo moderno; in questi risvolti polemici il pessimismo cattolico era in funzione critico-distruttiva dell'immanentismo laico e del tradizionalismo conservatore. Manzoni creava un'opera d'arte in cui la visione del mondo (che collegava strettamente religione e rapporti umani, borghesia e popolo in funzione antiaristocratica) era il programma di un primato cattolico politico-culturale.
Alta cultura di stampo moderato, istituzioni scolastiche centrali, organizzazione ecclesiastica furono i canali di trasmissione del romanzo letto come strumento di penetrazione ideologica moderata, di una seriosità lenta e prudente dalle classi dirigenti italiane. Un sonnacchioso filo didattico ha tramandato per lunghi decenni la lettura moderata dell'opera proponendo acriticamente l'esemplarità di episodi e personaggi, della lingua, come cieli sublimi della cultura e del comportamento, come modelli assoluti. Un tipo di scuola parassitaria si è fatto crescere addosso un romanzo quietista, abili burocrati della politica hanno tradotto in lentocrazia e in forme di inerte mediazione sociale l'ideologia dello scrittore.
Da questa lettura filistea e quietista vennero rimossi i motivi problematici e drammatici sui quali vennero fatte cadere le chiuse ideologiche che nel romanzo esistono. Più tardi la critica cominciò a scoprire le ambiguità ideologiche, i limiti, i soffocamenti che dal programma di egemonia politico-culturale discendono sui personaggi semplici guidati per mezzo di demiurghi mentre la nobiltà del dramma interiore è privilegio dei personaggi altolocati o di potere. Nei primi anni del nostro secolo si scrive che l'esaltazione che Manzoni fa del clero è «non isolata ma in antitesi, in opposizione con l'opera laica e civile» e che lo scrittore «ammette la carità, non l'eguaglianza completa fra le classi».
In seguito la critica articola i motivi del carattere aristocratico del cattolicesimo manzoniano, della benevolenza paternalistica verso gli umili presentati come macchiette popolari e privi di vita interiore (si giunge anche alla parodia che dei personaggi del romanzo fece Da Verona), della divinità che non s'incarna nel popolo ma nella Chiesa, del peso della controriforma sullo scrittore il quale compì opera di devozione e non epopea popolare, della ironia da intellettuale di Manzoni comunicante proprio con quelli che erano per lui gli esponenti degli errori della cultura, della sfiducia nelle masse, del conflitto irrisolto fra spirito e senso, della visione manichea della storia intesa come scontro fra le esigenze della ragione di stato e le aspirazioni a una società fondata sull'amore e sulla carità etc.
Altre acute articolazioni della critica intorno al romanzo hanno avuto origine dallo studio dei limiti del Risorgimento, delle mistificazioni ideologiche della borghesia risorgimentale, della sovrabbondanza della religione nel romanzo come spia di insicurezza, della fede che reseca taluni dei massimi problemi umani, del recupero-mistificazione che del popolare ha fatto Manzoni. Ma il dibattito recente non trascura Manzoni come grande realista morale e sociale, mediatore politico e sociale, rappresentatore corrosivo —con conoscenza critica della realtà anche ad alto livello stilistico — del negativo di una società divisa in potenti e oppressi, soprattutto in alcuni episodi come il dialogo fra il conte zio e il padre provinciale, la tavolata dei commensali di don Rodrigo o in personaggi come il padre di Gertrude.
Come appendice dei Promessi sposi del 1842 comparve la Storia della colonna infame (1829), un vero processo contro i giudici che nel 1630 avevano condannato ad atroci supplizi degli innocenti, i cosiddetti untori della peste. Postumo fu pubblicato l'incompiuto saggio comparativo su La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, una tesi di moderatismo politico sulla illegalità della Rivoluzione francese e sulle giuste rivendicazioni della soluzione cavouriana. Scarso valore ha il dialogo Dell'invenzione (1850) ispirato dalle idee di Rosmini mentre nella Lettera sul Romanticismo a Cesare D'Azeglio, scritta nel 1823 e pubblicata con molte modifiche nel 1870, Manzoni tratta soprattutto della «verità» dell'arte. In molti scritti sulla lingua venne sostenendo la sua tesi dell'estensione del fiorentino parlato dalle persone colte a tutta la nazione (Sulla lingua italiana, 1845; Dell'unità della lingua, 1868 etc.).