Capitolo

18

Le contraddizioni sociali e culturali dell'età umbertina


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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  • Giosuè Carducci




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Giosuè Carducci

(nota al capitolo 18, paragrafo 8)

Non sostenuto da adeguata cultura filosofica e da vigore di pensiero, ma sensibile ai valori della poesia e della lingua letteraria della nostra tradizione (dal che derivano l'attenzione ai poeti colti e raffinati come Poliziano, Parini e Monti e la parziale rivalutazione dell'Arcadia), GIOSUÉ CARDUCCI mirò, in polemica con le svenevolezze del tardoromanticismo, a operare una restaurazione del senso del reale alla luce dell'ideale della poesia classica.
Siffatta tendenza, unita alla propensione alla plasticità figurativa e statuaria e alla convinzione della superiorità del verso sulla prosa, lo portò ad assumere un atteggiamento polemico nei confronti dei veristi («panciuti zoliani»), degli scapigliati e di Manzoni (di cui apprezzò Odi e tragedie ma non il romanzo).
Sostenitore di Betteloni e Stecchetti, inizialmente ostile all'influenza delle letterature straniere sulla linea di Giusti, e della «paesanità» della cultura italiana, si aprì in seguito alla conoscenza di autori come Hugo, Goethe, Heine, Platen, e propugnò l'ideale del «poeta artiere» che si sottopone a un costante lavoro di studio e di ricerca (è su questa base che il Russo ha dissolto l'immagine tradizionale di un Carducci romanticamente esaltato).
Fra i motivi caratteristici della sua poesia si possono ricordare il gusto (elogiato da Croce) delle rievocazioni di epoche storiche (il Medioevo comunale, la Roma repubblicana, il Risorgimento), proiettate di solito su uno sfondo di paesaggio e simboleggianti ideali cari all'autore, e la connessione, sottolineata da Binni, tra il nostalgico amore per la vita goduta nella sua luminosa pienezza e il «sentimento della morte come totale e fisica privazione di vita».

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