Capitolo

13

L'Illuminismo: metodo scientifico e letteratura


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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  • Vittorio Alfieri




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Vittorio Alfieri

(nota al capitolo 13, paragrafo 9)

Nato ad Asti da nobile e ricca famiglia, VITTORIO ALFIERI si compiacque sempre dell'origine gentilizia e dell'agiatezza del suo stato in quanto, disse nella Vita, gli consentirono di non «servire altri che al vero» e di potere poi, senza la taccia d'invidioso e di vile, «dispregiare la nobiltà per sé sola».
Refrattario ad ogni forma di disciplina esterna e proteso all'affermazione di un individualismo eroico, nel 1758 entrò nell'Accademia militare di Torino, dove trascorse otto anni di «ineducazione» e di insofferenza per l'antiquato sistema pedagogico.
Uscito dall'Accademia (1766), la sua ansia libertaria lo indusse a intraprendere lunghi viaggi in Europa, durante i quali fece importanti esperienze culturali (lesse gli Enciclopedisti, Montaigne, Cervantes, Machiavelli, Plutarco etc.) ma non placò la sua inquietudine: i vagabondaggi di Alfieri (Parigi, Londra, Olanda, Svezia, Russia etc.) sono diversi da quelli dei viaggiatori settecenteschi curiosi di nuovi costumi, hanno un valore essenzialmente interiore ed esprimono l'affannosa ricerca di se stesso e della propria vocazione.
Tornato a Torino nel '72, ebbe la rivelazione delle sue capacità poetiche nel '74, con la composizione della tragedia Cleopatra che gli fece intuire la possibilità di risolvere in arte la sua irrequietezza. Avverso alla letteratura arcadica e alla strumentalizzazione cortigiana dell'arte, cercò di formarsi uno stile autenticamente tragico, aspro ed efficace, e pose al centro della sua produzione i motivi del contrasto tra uomo libero e tiranno e dell'aspirazione alla libertà (che, lungi dall'esaurirsi in un significato meramente politico, si identifica nell'anelito a una vita libera da limiti e costrizioni).
Fra il 1766 e il '77, dedicatosi ormai alla lettura dei classici italiani (Dante, Petrarca, Ariosto etc.) e deciso a sottrarsi alla soggezione alla cultura francese, soggiornò in Toscana per «avvezzarsi a parlare, udire, pensare, e sognare in toscano, e non altrimenti mai più», e l'anno dopo (1778) si «spiemontizza» rompendo ogni rapporto col re di Sardegna e donando i beni alla sorella. In poco più di un decennio (fino al 1787) scrisse tutte le tragedie che suscitarono perplessità e polemiche fra i contemporanei, soprattutto per l'oscurità e durezza dello stile, e ammirazione entusiastica fra i romantici che — con deformazione di gusto risorgimentale — esaltarono i contenuti patriottici e antitirannici della sua opera.
Molto dibattute sono state anche, nel Novecento, le questioni del cosiddetto preromanticismo alfieriano (Croce lo definì «protoromantico») e del carattere elegiaco e lirico delle sue tragedie.

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