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PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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Pietro Trapassi

(nota al capitolo , paragrafo 1)

Fanciullo improvvisatore di versi nei salotti secondo il gusto del tempo, PIETRO TRAPASSI fu adottato da Gravina che gli grecizzò il nome in Metastasio e ne curò l'educazione orientandolo verso il culto dei classici, il sentimento della poesia eroica e tragica e la disciplina dello stile.
Alla morte di Gravina, Metastasio — che aveva preso gli ordini minori non per vocazione ma perché l'abito di abate apriva le porte della società aristocratica — entrò nell'Accademia dell'Arcadia e cominciò a coltivare gli autori (Tasso, Marino, Guarini) che sentiva più congeniali alla sua vocazione idillica. L'incontro con Marianna Bulgarelli detta la Romanina, famosa cantante, lo orientò definitivamente alla musica e al melodramma, e la Didone abbandonata (1723) segnò l'inizio di un successo che non doveva più abbandonarlo in vita.
Impegnato nella riforma del melodramma, già tentata ma non realizzata per difetto di senso musicale da Apostolo Zeno, nel 1729 fu invitato come poeta cesareo alla corte di Vienna e qui rimase per più di quaranta anni fino alla morte, raggiungendo tra il 1730 e il '40 — prima del lungo e luminoso declino — l'apogeo della sua arte.
Tipico figlio del secolo, esaltato dagli arcadi e dimenticato dai romantici (De Sanctis lo definì ultima espressione della vecchia letteratura), Metastasio ebbe un carattere amante della vita tranquilla e aperto alle amicizie, compiaciuto delle lodi che gli venivano rivolte e che ricercava e contrario agli intrighi e alle polemiche. Fu cortigiano devoto alla famiglia imperiale e concepì l'amore, anche nella vita, non come passione travolgente ma nelle forme garbate della mondana galanteria (lo testimoniano le lettere scritte alle donne da lui amate).
Oltre ai melodrammi — costantemente esposti al rischio di cadere nel sentimentalismo smanceroso e nell'eroico astratto —, fu autore di opere teoriche (Poetica di Orazio tradotta e commentata, Estratto della Poetica d'Aristotele, Osservazioni sul teatro greco) in cui, difendendo i principi costitutivi della sua produzione, espone le sue idee sulla necessità di non seguire in maniera indiscriminata le regole aristoteliche, sulla funzione catartica dell'arte, sulla possibilità del lieto fine nei drammi.

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