Capitolo

4

La letteratura tra la società dei comuni e le signorie


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
PER TESI DI LAUREA MAGISTRALE O DOTTORATO DI RICERCA

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4 - § 4

Il «Canzoniere» e i «Trionfi»


In lingua volgare, accompagnandolo con costanti correzioni, modifiche, il Petrarca scrisse il Canzoniere (1330-65), una raccolta di 366 componimenti (il titolo dato del Petrarca è Rerum vulgarium fragmenta), la maggior parte dei quali si riferisce all'amore per Laura, da lui conosciuta nella chiesa di S. Chiara in Avignone il 6 aprile 1327 e morta durante la peste del 1348. Le rime sono un nuovo modello di lirica d'amore che non può essere confrontato con gli schemi trovatorici e le loro derivazioni in Italia: per approfondimento psicologico di stati d'animo, di situazioni, per le perplessità esistenziali del Petrarca in mezzo a cui fiorisce il sentimento d'amore. Il poeta ama Laura come donna terrena e ne descrive le bellezze del corpo (gli occhi neri, i capelli biondi e crespi, le «man bianche e sottili», «il bel giovenil petto»), la descrive nel paesaggio a Valchiusa vicino alle acque del fiume Sorga, la vede passare in barca, in cocchio, sorridente, piangente. Al desiderio di amore si oppone nell'animo del poeta il sentimento religioso: in questi elementi di contrasto, che il Petrarca sentì per tutta la vita, simboli dell'uomo vecchio e dell'uomo nuovo che erano in lui, si svolge la lirica del Canzoniere.
Incertezza, esitazione, timori non rappresentano mai stati d'animo definitivi o espressione della risoluzione della crisi, ma punteggiano in modo nuovo la storia d'amore. Il fondo di tutto è esistenziale: il descrittivo, il retorico, il realistico sono assenti. La «voluptas dolendi» è meglio espressa nella musicalità, nell'onda lirica il sentimento trova la sua forma. Le parole comuni sono travolte in suoni di minore immediatezza, natura e quotidiano sono sublimati nella sfera esistenziale; pare che il poeta con la sua infelicità, con il sentimento di caducità non tocchi il reale o crei soltanto tonalità smorzate. Petrarca manifesta la propria vita interiore, il fantasticare, l'illusione vista come realtà, il contrasto che abbiamo visto nel Secretum. Il contrasto si attenua nelle rime scritte per Laura morta dominate dal rimpianto della donna amata che consola «le sue notti dolenti», gli asciuga le lacrime, «sospira dolcemente e si adira» vedendolo ancora «vaneggiare» per la passione terrestre.
Il Canzoniere è quindi caratterizzato dalla visione del mondo che il Petrarca propose in un tessuto formale di estrema coerenza nella sua opposizione al realismo, nella sua tendenza aristocratica. La lettura dell'opera presuppone la sua storicizzazione e il confronto con la precedente lirica d'amore, oltre che con quella di Dante perché si scorga la nuova esemplarità sentimentale e tecnica. Il sentimento è avvolto da un velo di precarietà, di funerarietà:
  1. Ma io sarò sotterra in secca selva,
  2. e 'l giorno andrà pien di minute stelle
  3. (Canzoniere; XXII; 36-37)
  1. le crespe chiome d'or puro lucente,
  2. e 'l lampeggiar de l'angelico riso,
  3. […] poca polvere son, che nulla sente
  4. (Canzoniere; CCXCII; 5-8);
  1. O nostra vita, ch'è sì bella in vista,
  2. com' perde agevolmente in un mattino
  3. quel che in molti anni a gran pena s'acquista!
  4. (Canzoniere; CCLXIX; 12-14).
L'infermità petrarchesca è circondata di dolore, di autocompianto, lo stato d'animo nei momenti più intensi di contemplazione, di rimpianto, è circoncluso in un'atmosfera solenne per mancanza di moto, in cui la risonanza umana appare remota:
  1. Ove porge ombra un pino alto od un colle
  2. talor m'arresto, e pur nel primo sasso
  3. disegno co la mente il suo bel viso
  4. (Canzoniere; CXXIX; 27-29);
  1. Così sol d'una chiara fonte viva
  2. move 'l dolce e l'amaro ond'io mi pasco
  3. (Canzoniere; CLXIV; 9-10);
  1. vederla ir sola co i pensier suoi inseme,
  2. tessendo un cerchio a l'oro terso e crespo!
  3. (Canzoniere; CLX; 13-14).
Questo decoro circondato di musicale malinconia, ottenuto attraverso una lenta elaborazione formale, è lo stesso tono smorzato che il Petrarca ricercò per modellare i sentimenti, per non renderli ardenti; esso costituisce l'incanto del Canzoniere, inseguito dagli innumerevoli petrarchisti della nostra letteratura i quali solitamente si avvicinarono più ai virtuosismi, agli artifici, alla cristallizzazione della tecnica petrarchesca che non alla inimitabile fioritura rigogliosa delle rime del maestro.
I motivi dell'amore e della morte di Laura sono ripresi un intento didascalico-allegorico nei Trionfi del Petrarca il quale nelle visioni mitiche e simboliche intende adombrare una moralità universale. In questo poemetto in terzine il poeta immagina di assistere al trionfo dell'Amore, della Castità, della Morte, della Fama, del Tempo, dell'Eternità:
  1. Passan vostre grandezze e vostre pompe,
  2. passan le signorie, passano i regni:
  3. ogni cosa mortal tempo interrompe
  4. […] né mai si posa né s'arresta o torna,
  5. fin che v'à ricondotti in poca polve
  6. (Trionfo del Tempo; 112-14, 119-20).
Nell'itinerario dalla passione a Dio mancano la capacità di creare la struttura e i caratteri in un quadro drammatico. Nell'opera si manifesta l'influenza di Dante della Commedia negli intenti di esaltare Laura e di indicare agli uomini la via del cielo, oltre che nella tecnica, nella lingua e in qualche dialogo. Il Petrarca si era difeso in una lettera al Boccaccio dall'accusa di disprezzare Dante

(una opinione insidiosamente e malignamente si è divulgata sul giudizio ch'io fo di quel poeta […] nostro concittadino, popolare per quel che riguarda lo stile, ma indubbiamente nobile per il contenuto. […] Poiché chi mi vuol male dice ch'io lo odio e disprezzo, cercando così di suscitarmi contro l'odio di quel volgo al quale egli è graditissimo)

e di non averne mai ricercato l'opera

(Confesso che così è […] ma temevo che, se mi fossi dedicato alla lettura degli scritti suoi o di qualcun altro, [mentre scriveva in volgare] non mi accadesse, in un'età così pieghevole e proclive all'ammirazione, di diventare senza volere e senza avvedermene un imitatore).

In realtà il realismo, la poliglottia degli stili e la pluralità di toni e strati lessicali danteschi (dal tono apocalittico al didascalico, al tragico) toglievano spazio, in un confronto, al tono medio querulante e malinconico di un poeta la cui personalità sconta già sul piano dell'infermità spirituale ogni direzione prima di averla percorsa, che per ogni situazione ha pronta una giustificazione che regredisce in un passato di grandezza e di virtù o annulla il tempo nell'eterno.
Nei Trionfi il Petrarca si trova nella difficoltà di narrare ciò che non ha svolgimento. Per questo l'opera è macchinosa e disuguale e, naturalmente, i luoghi che si sottraggono all'eloquenza e al tono prosastico sono alcuni momenti più congeniali, per il carattere lirico-elegiaco, all'animo del poeta: l'espressione della stanchezza interiore e del desiderio di pace, del pessimismo stoico e cristiano, della morte di Laura e del colloquio con l'amata morta. Ma anche qui la vita terrena è uguagliata alla morte:
  1. Viva son io, e tu' se' morto ancora [...]
  2. La morte è fin d'una pregione oscura
  3. a l'anime gentili […]
  4. (Trionfo della Morte II, 23; 35-36)
mentre nel Trionfo del Tempo la morte in culla è preferibile a quella in vecchiaia e, con l'Ecclesiaste, il non esser nato all'essere venuto alla luce («Beato chi non nasce»). Infine in tutto il poema circola il disprezzo per la «turba, a' grandi errori avvezza», per il «vulgo» che ha «opinione cieca e dura».
Le scissioni interiori del Petrarca perdurano fino al termine della sua vita, unite, però, alle contraddizioni fra teoria e vita pratica. Assai importante è l'intensità con cui egli vive i contrasti e con cui ricerca l'unità culturale e civile per mezzo di valori autonomi che costituiscono la novità dell'intellettuale postcomunale che sovrasta inimicizie e lotte. Non fondatore dell'umanesimo né primo uomo moderno, perché il richiamo all'antico non crea di per sé una cultura, e perché sprofondato nel suo dissidio non ebbe ragione e volontà sufficienti per arginarlo

(Ben veggo ora in quali profonde tenebre noi camminiamo, da quale nebbia di cose, da quale nube di errori circondati; vedo esser nulla tutto ciò di cui di volta in volta ci rallegriamo o ci addoloriamo in questa vita, nulla ciò che con tanto ardore desideriamo ovvero aborriamo…),

il Petrarca operò per essere il nuovo tipo di intellettuale delle classi dominanti della Signoria, il letterato autonomo dalla politica; ma con questo ritratto di sé in Valchiusa fornì anche il modello del disimpegno del letterato, appartato dal mondo per studiare con sovrana indifferenza:

Ivi vedrai l'amico che tu cerchi, in ottima salute, di nulla bisognoso, nulla particolarmente attendere dalle mani della fortuna: lo vedrai dalla mattina alla sera dilettarsi della solitudine dei prati, dei monti e delle fontane, e dimorare fra i campi e le selve; fuggire i vestigi degli uomini, […] ridere delle cure del volgo, conservandosi ugualmente distante dalla letizia come dalla tristezza: sempre libero di sé giorno e notte, gloriarsi della compagnia delle muse, del canto degli augelli, del mormorio delle acque; […] infine lo vedrai a volte tacere intento e con gli occhi fissi a terra, a volte discorrer seco stesso a lungo, e da ultimo disprezzar sé medesimo e tutte le cose mortali.


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