Capitolo

2

Società borghese e cultura nel Duecento


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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2 - § 2

Scuola siciliana e lirica popolareggiante


Ci siamo soffermati sul fiorire dei Comuni perché esso dà sviluppo ai volgari e nel rigoglio di vita economica, politica e sociale (fiere, mercati, pellegrinaggi, spedizioni militari, predicazioni, scuole etc.) i dialetti nativi vengono calamitati — mancando un centro politico unitario — nelle loro specificità in aree geografiche regionali o in centri di cultura, con profonde differenze originarie, etniche, culturali, fra area settentrionale e centro-meridionale. Questi volgari vengono integrando, nell'uso scritto, elementi classici e cortesi presso la corte di Federico II in Sicilia; religiosi presso i grandi conventi con territori feudali; burocratici e giuridici presso i comuni toscani e lombardi. Gli argomenti dell'amor cortese (con influenze provenzali, francesi), però, rendono stilizzata e non concreta la lingua letteraria colta siciliana facendo prevalere gli elementi della scuola e della curia.
Questa lingua dell'alta lirica di amore creata da una istituzione curiale di dignitari e uomini colti, costituì un modello che decadde quando l'egemonia intellettuale di Firenze irradiò in tutta la penisola il suo dialetto rafforzato con Dante dalla tradizione letteraria e arricchito di elementi originati da altri dialetti. La società comunale e gli intellettuali creati dalle classi popolari alimentano il registro linguistico realistico che è uno degli stili fondamentali nell'arte di Dante. La fine dei Comuni l'avvento delle Signorie cristallizzò la lingua volgare e l'italiano diventò lingua scritta e non parlata, lingua dotta come il latino: gli intellettuali tradizionali, cioè, faranno prevalere la loro linea unitaria, la loro funzione di casta, sovrapopolare, sovranazionale, non assimilabile — soprattutto negli elementi del clero — dai nuclei borghesi.
In contrasto con la preponderanza contadina in tutte le aree geografiche, l'amore cortese e aristocratico è il tema della lirica colta. In seguito alla distruzione della società feudale provenzale compiuta da Domenico di Guzman con la crociata contro gli Albigesi (1209), poeti (come Rambaut de Vaqueiras) cercarono rifugio in Italia dove florilegi poetici furono composti come modelli, e colti poeti italiani (Alberto Malaspina, Peire de la Caravana, Ramberto Buvalelli, Bonifacio Calvo, Lanfranco Cigala, Bartolomeo Zorzi, Sordello, alcuni dei quali ebbero accenti politici comunali e antifeudali) scrissero in provenzale per un pubblico aristocratico.
La prima lirica d'arte in lingua italiana fiorisce a Palermo presso la corte di Federico II di Svevia il quale chiama presso la sua corte giuristi, astrologi, medici, filosofi, letterati. I poeti sono borghesi colti, funzionari, notai, i quali si valgono del siciliano elaborato con l'influenza del latino, del provenzale e di altri dialetti per cantare secondo i modelli di Provenza l'amore cortese. Fu lirica di maniera e convenzionale in cui venne ripetuto il formulario amoroso e intellettualistico della scuola provenzale: adorazione, vassallaggio, donna perfetta e orgogliosa. Il dialetto siciliano, privato delle sue punte idiomatiche, salì al registro alto dell'argomento nobile, l'amore: il suo lessico lievitò verso un alto registro. Poeti furono Federico II, Pier della Vigna, Jacopo Mostacci, Folco Ruffo di Calabria, Arrigo Testa, Mazzeo di Ricco, Percivalle Doria, Rinaldo D'Aquino, Stefano Protonotaro e altri i quali furono detti siciliani per la corte in cui vissero e per la lingua che si usava presso la corte.
Giacomo da Lentini, considerato caposcuola cantò la donna così lontana da essere amata con l'immaginazione: («eo son sì vergognoso | ca pur vi guardo ascoso | e non vi mostro amore»), disegnata, sospirata, mai avvicinata, simbolo che precede le donne dello stilnovo. Guido delle Colonne in Gioiosamente canto manifesta con perizia di stile l'esaudimento del desiderio:

  1. ond'eo m'allegro di grande ardimento:
  2. un giorno vene, che val più
  3. di cento […]
  4. Solazzo e gioco mai non venne mino:
  5. così v'adoro como servo e 'nchino.
Scarsamente influenzato dalla raffinatezza della corte è Odo delle Colonne nel Lamento di una donna abbandonata mentre in Giacomino Pugliese l'eros ha motivi popolari: L'aulente bocca e le menne | a lo petto le cercai | fra li mie brazza la tenne».
In un lamento anonimo una donna promessa sposa contro la propria volontà chiede all'amante di essere portata via; l'amante risponde che essa non può venir meno alla parola data e che molte sono le donne le quali offrono ai mariti i «be' sembianti» ma non l'amore:
  1. Così voglio che tu faccia,
  2. e averai molta gioia:
  3. quando t'avrò nuda in braccia
  4. tutt'andrà via tua noia.
Siamo ormai nel registro popolaresco di questa scuola di cui il documento principale è il Contrasto di Cielo d'Alcamo, ricco di malizia, di parodia, di assimilazione del mimo popolare, di dialettismi vivaci, che ha come protagonista maschile, è stato scritto, il primo don Giovanni letterario in Sicilia. A questa tendenza appartengono: il breve contrasto La siciliana di un anonimo in cui una donna prega l'amante di allontanarsi dalla porta perché il marito o la vicina potrebbero sentire; l'amante risponde:
  1. Maritato non sentelo,
  2. ch'el este addormentato,
  3. e le vicine dormeno:
  4. primo sonno è passato.
  5. Se la scurta passàssenci,
  6. serìa stretto e legato;
la Parodia della «Passione» di Ruggeri Apuliese in cui l'autore si difende davanti a un sinedrio di nemici per essere andato a pranzo, come giullare, con dei Paterini; i versi anonimi Le donne di Messina i quali esaltano le messinesi che nel 1287 innalzarono un muro contro l'assediante Carlo d'Angiò in una parte in cui la città non era murata:
  1. […] veggendole scapigliate
  2. portando pietre e calcina
  3. Dio gli da briga e travaglio
  4. chi Messina vuol guastare.

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